La settimana scorsa mio marito mi ha trascinata a vedere Inside out, nonostante i miei tentativi di condurlo a vedere qualcuno dei film in lingua originale del festival: come al solito, alla fine aveva ragione lui.
Ultimo capolavoro della Disney (che ultimamente ha evidentemente deciso di sorpassare tutto d’un colpo la dicotomia di trame e personaggi), Inside out si pone l’obiettivo di parlare di emozioni ai bambini. Del film avevo letto solo un’intervista al regista, pubblicata su Metro, e mi ero immaginata una storia piuttosto banale su emozioni positive e negative, leitmotiv sempre troppo diffuso nella psico-divulgazione: contrariamente a quanto mi aspettassi, invece, il film racconta con immagini efficaci e una trama avvincente alcuni aspetti molto complessi della psiche umana.
Raccontando la vita della protagonista, Riley, il film ci mostra come i meccanismi emotivi conducano a letture diverse di uno stesso evento: all’interno della testa della ragazzina troviamo quasi tutte le emozioni basiche di Ekman (manca solo la sorpresa), e ne possiamo vedere chiaramente la funzione adattativa, sia immediata, nella prima infanzia (il ruolo di Disgusto è “Controllare che Riley non sia avvelenata”), sia in maniera più sfumata e complessa, nella pre-adolescenza, dove Disgusto ha la funzione di mettere Riley in condizione di essere accettata dagli altri.
Perfino la Tristezza, emozione talmente difficile da collegare all’adattamento, al punto che alcuni teorici la considerano una non-emozione, viene rivelata nella sua funzione in una riflessione molto profonda (ma non vi anticipo come, se no vi rovino il film…)
Le emozioni, inoltre, configurano la percezione dei comportamenti degli altri, la rilettura di vissuti, e i comportamenti reattivi: in termini post razionalisti, determinano la Ipseità della persona.
I ricordi, a loro volta, vanno a costruire quelle che nel film vengono denominate “isole di personalità”: non so quale sia stato il termine usato in lingua originale, ma, tanto per essere pignoli, potrebbe essere più adatta la denominazione “isole di identità”. Sono infatti strutture attorno le quali ruota l’identità della giovane Riley (la passione per l’hockey, il senso di onestà, l’appoggio della famiglia), e che vengono messe in pericolo da un momento molto difficile, in un età molto difficile. In questa fase, in cui la Gioia sembra scomparsa, Riley imparerà che solo prestando il giusto ascolto a tutte le emozioni potrà ristabilire un equilibrio nel suo mondo psichico, e permettere la costruzione di nuove strutture di identità.
In pratica viene proiettato su uno schermo, con un linguaggio chiaro e accattivante, ciò che tento di spiegare ad adulti e bambini che entrano nel mio studio o visitano il mio blog: non ci sono emozioni positive o negative, tutte le emozioni hanno una funzione, e ci comunicano qualcosa che, se non viene ascoltato, può condurre al disagio.
Il film raccoglie inoltre una serie di piccoli elementi ispirati, piccole perle dense di significato, che permettono, attraverso una lettura a più livelli, ulteriori riflessioni.
Per esempio, i capelli di Gioia hanno lo stesso colore di quelli di Tristezza.
Per esempio, la vita psichica della madre farebbe pensare che il sentimento prevalente sia la Tristezza.
Per esempio, le emozioni si rammaricano dell’assenza di Gioia, sospirando “Gioia saprebbe cosa fare!”: è vero, quando siamo gioiosi, ogni ostacolo sembra tranquillamente superabile. Ma quando veniamo travolti dalla tristezza, ogni azione sembra impossibile: e Tristezza si fa trascinare da Gioia per un piede su e giù per la Memoria Semantica, perché non ce la fa a camminare…
Un film commovente e profondo, anche se non adatto ai bambini: ma da consigliare assolutamente a tutti i ragazzi che hanno superato quella triste fascia d’età in cui non si possono più vedere i cartoni…
E voi cosa ne pensate? Avete già visto Inside Out? Vi è piaciuto? Lasciate un commento!
Ciao Emanuela,
mi aspettavo ed attendevo un tuo commento sul film, che non ho visto ma di cui ho sentito parlare molto bene, e di cui per l’appunto desideravo il giudizio
di un esperto del campo.
L’altra questione che mi interessava ancora di piu’ era il giudizio se fosse adatto o meno ai bambini, in particolare al mio di 4 anni.
La risposta l’ho avuta nell’ultima frase del tuo articolo…ed anche su questo aspetto ho avuto da te la conferma di opinioni mie e di altri: non è adatto.
A proposito dell’ultima frase, a questo punto pero’ scatta la domanda: qual’e’ “quella triste fascia d’età in cui non si possono più vedere i cartoni…” ?
Eri ironica vero? ;-)))
Ciao
Francesco