Il figlio: soggetto, oggetto e progetto

Quand’ero molto piccola, come molti bambini della mia generazione, andai a vedere Biancaneve al cinema. Non credo avessi più di 4-5 anni, ma ricordo perfettamente lo spavento che provai, e gli incubi che feci per settimane. Anche questo, in linea con la stragrande maggioranza dei miei coetanei. La differenza sta nel fatto che io non ho avuto paura della strega, ma dei nani. Quella scena terribile in cui la strega viene inseguita da sette nani arrabbiati e armati di bastone, si ritrova intrappolata, cerca di fermarli gettandogli addosso un enorme masso ma un fulmine le fa franare il terreno sotto i piedi, e lei precipita, seguita dal masso. I nani guardano la scena, ma nessuno fa il minimo cenno di aiutarla.

Chi mi conosce di persona, chi legge un po’ i miei articoli, sa della mia inclinazione all’orizzontalità, alla parità dei diritti, alla non esclusione dell’elemento problematico. Certo, i miei mi hanno impartito un’educazione pressoché basata su questi princìpi. E poi i romanzi di Pullman che leggevo da ragazzina, gli ambienti politici e culturali che ho frequentato da adolescente, le persone incontrate sulla mia strada, persino il mio cammino spirituale: tutto ha contribuito a rendermi la persona che sono, alimentando un circuito in cui alcuni princìpi etici sono stati confermati, e altri abbandonati.

Eppure, a un’analisi più approfondita, mio fratello, che ha ricevuto la stessa educazione, ha una visione molto più gerarchica della vita. E la maggior parte degli ambienti politici che frequento si muovono in direzione dell’esclusione di quei membri che violano importanti norme comportamentali. E con le persone incontrate sul mio cammino condivido alcuni valori, e certi altri no. Come mai i medesimo stimoli hanno avuto una certa influenza su di me, e una completamente diversa sugli altri?

Ripenso a alla strega di Biancaneve, e credo che io fossi già così a 4 anni. E probabilmente anche a 2, anche se non avevo le strutture linguistiche e narrative per spiegarlo. Vedevo delle cose, e non altre. Seguivo alcuni significati, e non altri. E, crescendo, gli stimoli esterni si sono progressivamente integrati a queste mie inclinazioni, alimentandole da un lato e trasformandole dall’altro, e andando infine a prendere forma nella persona che sono, e che sarò.

Ho ridotto ai minimi termini un dibattito che, in psicologia, dura da sempre: quello tra innato e appreso. Il focus di questo articolo non è determinare come o quando si formino la personalità, il carattere, l’ethos di una persona.

La riflessione che voglio proporre è piuttosto sulle scelte e i dilemmi che ci poniamo rispetto all’educazione di un figlio.

Dall’accudimento, alla scelta della scuola, dei vestiti, dei colori, degli amici, dell’alimentazione, delle attività pomeridiane, assisto a una diffusione sempre più pressante di indicazioni e consigli su cosa favorisca la crescita, promuova l’autonomia, induca la socializzazione, predisponga al successo, ecc.
Ogni scelta sembra debba basarsi su future prospettive, agevolando futuri apprendimenti, preparando futuri scenari.

Molti anni fa si parlava dei figli “oggetto”, figli la cui ragione d’esistenza era dimostrare il valore dei genitori, con la buona educazione, i risultati scolastici, i successi negli sport. Oggi assistiamo a qualcosa di diverso, ma più sinistro: il figlio, da oggetto, diventa progetto. La sua giornata viene ottimizzata in modo da avere al suo interno il maggior numero di stimoli positivi e funzionali agli obiettivi che vogliamo raggiungere. Le sue attività vengono scelte in base a ciò che dovrà diventare fra 2, 5, 10 anni. I suoi oggetti sono determinati da un pensiero politico al quale ancora non si può accostare. Non lo facciamo per egoismo, sia chiaro: per questo la faccenda è più sinistra. Lo facciamo per garantire a lui, e a noi, una felicità che, di fatto, è impossibile da predeterminare. Per rendere migliore il mondo in cui vivrà, e di cui farà parte.

Quello però che ci sfugge è ciò di cui parlavo all’inizio: quel dettaglio specifico che colpisce nostro figlio quando guarda Biancaneve (o magari Il Piccolo Principe, oggi…). E’ già una persona, nel momento stesso in cui nasce. E non c’è modo di prevedere quali effetti avranno su di lui gli stimoli che arriveranno, o che noi provvederemo a far arrivare. Magari crescerà egoista, magari sarà sprovveduto, o rigido, o spavaldo, o seduttivo: è un soggetto, pensa, assimila, rielabora, dal primo istante della sua vita.



Scegliamo ciò che è meglio per lui, è chiaro. Ma impariamo a conoscerlo, dal suo primo istante, lasciamo che sia lui a insegnarci cosa sia meglio per lui. Aiutiamolo a scoprire i suoi desideri, le sue inclinazioni, aiutiamolo ad avere il coraggio di fare le sue scelte, anche quando sono molto diverse dalle nostre. E prepariamoci a sorprenderci.

Un commento su “Il figlio: soggetto, oggetto e progetto”

  1. È una riflessione molto interessante! Condivido il tuo punto di vista, è vero che l’ambiente in cui cresciamo influenza il nostro modo di essere, ma ognuno di noi è diverso!

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