Adolescenti e spiritualità

Quando pensiamo all’educazione di nostro figlio, un argomento risulta estremamente delicato: la spiritualità. Che essa sia un elemento importante nella nostra vita o nella nostra quotidianità o, al contrario, che sia totalmente assente, prima o poi ci troveremo di fronte alla decisione su cosa trasmettere, di quest’ambito così delicato, a nostro figlio.
Può succedere nel momento in cui lo iscriviamo a scuola, e dobbiamo decidere se farlo o no partecipare all’ora di religione, o quando decidiamo se portarlo o meno a un rito, o, semplicemente, quando lei, o lui, ci chiede:”Che succede quando uno muore?”
Poco cambia, il momento arriverà, seguito da tanti altri, in cui dovremo trovare modi per aiutarlo a trovare la propria strada.

Partiamo dal presupposto che un bambino non cresce nell’indeterminatezza: non possiamo, in alcun modo, non passare un messaggio sul nostro modo di vivere la spiritualità. Esattamente come non è possibile non comunicare, così ogni nostra decisione rimanderà una posizione. Sento spesso la volontà, da parte dei genitori, di non esporre il proprio figlio a condizionamenti spirituali (per esempio, non battezzandolo, o esonerandolo dall’insegnamento della religione), per lasciarlo libero, una volta cresciuto, di prendere la propria strada. Di fatto, anche questa è una comunicazione, e contiene un messaggio che influenzerà, insieme a tutte le altre, provenienti dall’ambiente circostante, la sua scelta. La libertà si costruisce fornendo strumenti di pensiero critico, e non tentando di eliminare uno stimolo.
E’ sempre meglio, quindi, riflettere sulla propria posizione rispetto alla spiritualità, e tentare di comunicarla nel modo più chiaro possibile, invitando anche lui a riflettere sull’argomento.
Ad esempio, a seconda di quale sia la vostra posizione, alla domanda: ”Che succede quando uno muore?” potete rispondere “ Nessuno lo sa, ma secondo me la persona non c’è più, resta solo il corpo”, oppure “Nessuno lo sa, ma io credo che il corpo venga seppellito ma l’anima continui a vivere in un altro mondo” o ancora “Non lo so, non lo può sapere nessuno” . Sono tre risposte diverse che riflettono tre posizioni diverse rispetto alla morte e all’aldilà, ma che permettono al bambino di riflettere, se alla risposta fate seguire la domanda.”Secondo te che succede?”.

Quando si entra nell’adolescenza, però, le cose si complicano. L’adolescenza è una fase evolutiva in cui emerge il compito, non proprio facilissimo, di costruire la propria identità, il proprio background, in maniera sempre più autonoma dai nostri genitori. Questo investe anche, a volte in modi drammatici, la spiritualità. In questa ricerca della propria strada, infatti, si possono esplorare e scegliere alternative diverse da quelle dei nostri genitori; a volte tali alternative vengono comunicate con atteggiamenti fortemente critici verso la posizione dei genitori, perché le risorse necessarie a staccarsi dallo spazio parentale richiedono un’energia forte. Tutti (o quasi tutti) sappiamo che la scelta spirituale è assolutamente personale: di fatto, la faccenda è più complessa.

Volendo ridurre al massimo il problema, possiamo dire che l’aspetto spirituale è composto di due elementi: la fede (o la mancanza di essa) e la comunità. Mentre il primo elemento richiede una ricerca personale, il secondo investe l’adolescente e i genitori sia nell’ambito familiare che in quello delle relazioni con i pari. Spesso, infatti, la famiglia di appartenenza è inserita in una comunità sociale che diverge poco nel vissuto spirituale: riti, abitudini, dettami, possono essere vissuti dall’adolescente come una contraddizione rispetto alla strada spirituale che sta scegliendo, come un’imposizione sofferta, a volte come una violenza.
Allo stesso modo, anche il gruppo di amici, che si sia formato in un oratorio o in un centro sociale, spesso si configura con un’alta conformità di pensiero, su cui si costruiscono relazioni importanti: la divergenza può far venire paura di perdere abitudini, relazioni, amicizie. Non dimentichiamo inoltre che, durante l’adolescenza, emergono, a volte violentemente, una serie di pulsioni, difficili da integrare, soprattutto se connotate da un’idea di peccato. Tutte queste pressioni possono sfociare in comportamenti oppositivi di rifiuto della cultura di appartenenza, che possono spaventare il genitore, o ferirlo.

Cerchiamo di lasciare spazio alla riflessione di nostro figlio, di conversare con lui su quello che crede, tentando di trattarlo alla pari: ridicolizzare la sua visione, o rimandargli che è troppo giovane per comprendere certe cose, oppure obbligarlo a partecipare a riti o momenti spirituali in cui non crede, non farà che aumentare la sua frustrazione e il suo rifiuto. Non nascondiamo alla comunità di provenienza (familiare, spirituale, politica) la sua ricerca, ma facciamolo sentire appoggiato, riconoscendo i suoi sforzi in una ricerca individuale, e aiutandolo nei momenti di difficoltà.
Non bolliamo i suoi desideri o le sue azioni come “sbagliati”, “irrazionali”, “peccaminosi”, “blasfemi”: cerchiamo sempre di mantenere la calma, e, nel rispetto degli accordi presi per la convivenza dentro casa, lasciamogli la libertà di fare le sue scelte.
Difficile? Si. Quasi quanto è difficile, per loro, crescere.
E voi? Cosa ne pensate? Come avete affrontato il tema della spiritualità con i vostri figli? Lasciate un commento.

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