Fate da soli!

L’autogestione come pratica educativa

di Dott. E. De Bellis


Nel video potete osservare alcuni momenti di una lezione interamente autogestita da bambini di 4 anni. 

Il lavoro con la fascia d’età pre-scolare (dai 3a i 6 anni) offre notevoli risorse per la promozione e lo sviluppo di una serie di competenze trasversali, come la flessibilità, la coordinazione, l’organizzazione dello spazio, l’autonomia; queste competenze vanno a costruire come una sorta di “scaffali”, all’interno dei quali saranno inseriti, dall’età scolastica in poi, i contenuti dei vari ambiti.
Spesso però si sottovalutano le possibilità metodologiche applicabili in questa fascia quando, invece, alcuni processi di sviluppo trovano un terreno fertile proprio a quest’età; sostengo anzi che alcune competenze, come l’ascolto, o la sintonizzazione, possano essere sviluppate in maniera completa solo prima dell’entrata alle elementari.

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Nella mia esperienza di psicopedagogista musicale, negli anni ho cercato di affinare sempre di più la capacità di apprendimento autonomo da parte del bambino, che permette uno sviluppo delle competenze maggiore rispetto a un apprendimento molto guidato.
In altre parole, dopo una prima fase di esplorazione dello stimolo (che può essere una musica registrata, un canto, un ritmo o dei suoni che si susseguono), in cui io stessa mostro modi diversi di esperienza, chiedo direttamente ai bambini di proporre idee. Da un lato, questo permette a me di arricchire sempre di più il mio bagaglio di prospettive (non c’è niente come la mente di un bambino per ribaltare il senso di un movimento o di un suono!); dall’altro, i bambini si abituano ad utilizzare il pensiero in maniera creativa per sviluppare nuove strategie, adattandole spontaneamente allo stimolo proposto.

Questa forma di “autonomia d’apprendimento” raggiunge il suo apice quando, più o meno a metà percorso (tra gennaio e febbraio), comincio a proporre lezioni interamente autogestite, come quella che vedete nel video. Di solito approfitto delle lezioni in cui i bambini sono pochi per iniziare questo percorso, in modo da facilitarne la realizzazione: tuttavia ho avuto modo di provare un primo approccio anche in classi numerose e, se il lavoro precedente è stato fruttuoso, il risultato è il medesimo.

Il gruppo che potete osservare nel filmato è piccolissimo (solo 4 bambini), ma funzionale a far osservare una serie di dinamiche. Dopo aver allestito un numero di strumenti pari a quello dei bambini, la richiesta è stata: “Suonate”. E quello che succede è una specie di miracolo.
I bambini suonano, insieme, sintonizzandosi tra di loro, realizzando un’improvvisazione di gruppo con un senso, un carattere. Addirittura finiscono insieme, senza dirsi niente(il momento è visibile alla fine, prima che io, gonfia di orgoglio, esclami “Bravi!”). Si guardano, si coordinano, si ascoltano. Comunicano senza parole (siamo ancora sicuri che certe funzioni cognitive si sviluppino solo dopo?). Usano strategie diverse per ottenere suoni alternativi.

La lezione continua con una strutturazione più complessa: alterniamo i turni? Suoniamo uno per volta? Suoniamo a coppie? Prima uno per uno e poi tutti insieme? La scelta va sempre a loro, ma la vera richiesta che viene fatta, pur rimanendo implicita, è di focalizzare l’attenzione sull’accorgersi quando l’altro ha finito, e cominciare a suonare immediatamente dopo. Non ha importanza che ci riescano sempre (anche se succede in realtà la maggior parte delle volte), ne ha molta di più l’essere riusciti a creare un’attenzione condivisa, in un processo cooperativo, o le strategie comunicative non verbali messe in atto tra loro.

Si vede a un certo punto (0:38) che una bambina non parte, forse si è distratta per un attimo; un altro bambino la richiama all’ordine, senza parole, battendo il battente per terra. La straordinaria reazione della bambina è di accogliere il gesto del compagno come un invito, a cui risponde suonando anche lei sul pavimento. La musica è diventata, per loro, uno strumento naturale di comunicazione, al pari di un jazzista in una jam session.

L’idea alla base dell’autogestione cresce poi nel tempo attraverso l’invito, sempre più frequente negli anni successivi, a proporre attività, organizzandosi per conto loro, senza l’aiuto dell’insegnante, fino ad arrivare a piccole performance create interamente dai bambini, in cui il lavoro dell’educatore si riduce al coordinamento nella fissazione della struttura.
Sempre più spesso si invitano i bambini a “inventarsi” un gioco, con gli strumenti, con la voce, senza porre limiti: in questo modo si promuove la cooperazione, l’ascolto attivo, il problem solving.

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A questo punto, sembrerebbe quasi che l’autogestione sia lo strumento principe per ogni processo educativo, e che da domani tutti gli insegnanti lo possano applicare in classe: in realtà la lezione autogestita non è uno strumento da poter utilizzare senza un precedente lavoro sul gruppo classe.

Il lavoro da fare per tutto il percorso precedente è un lavoro che mira, primariamente, alla promozione dell’ascolto; in questo la musica è un canale privilegiato, ma l’educazione all’ascolto non passa solo da essa. Il primo obiettivo da seguire è il silenzio: non il silenzio imposto, quello costrittivo, ma quello respirato, in ascolto. Sembra un obiettivo impossibile da raggiungere con bambini di 4 anni, ma in realtà è molto più difficile da raggiungere con gli adulti (provate in un gruppo di formazione a chiedere di fare silenzio senza dare un limite di tempo, e osservate le espressioni nei volti); la fascia di età 4-6 anni è, invece, la migliore per cominciare un’educazione al silenzio e, successivamente, all’ascolto (per il lavoro sull’ascolto ci sarebbe da scrivere un articolo a parte, e lo farò indubbiamente: mi limito per ora ad accennare a un lavoro sull’ascolto che coinvolga lo sguardo, le sensazioni cinestetiche, l’immaginato, e non solo l’udito).

Dopo aver lavorato sul silenzio, sull’ascolto, e di conseguenza sull’attesa, si comincia a lavorare sulla sintonizzazione sull’altro, attraverso l’imitazione (“Tutti come lui!”), ma anche attraverso compiti più elaborati, con immagini, metafore, sinestesie; sembra complesso, ma lo è solo se ci sforziamo  di trovare immagini funzionali da una prospettiva adulta; se deleghiamo a loro le proposte, ci accorgeremo presto che la sinestesia è una delle risorse maggiori di questa fascia d’età.
Attenzione alle proposte: vanno accolte tutte, anche quelle di difficile esecuzione!

A questo punto, muniti di capacità di attendere e di ascoltare, nonché della sicurezza di poter esprimere liberamente la propria creatività, i bambini potranno sperimentarsi nella lezione autogestita. Il compito più difficile per l’insegnante, rimane quello di non fornire suggerimenti o aiuto dopo la richiesta, di non intervenire se l’esperimento sembra non funzionare, di non caricare di aspettative: in altre parole, di scomparire nel nulla, limitandosi a godere il momento del salto verso l’autonomia creativa.

E voi? Avete mai sperimentato l’autogestione in classe? Pensate che sia possibile applicarla anche a materie meno “creative”, o più teoriche?
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5 commenti su “Fate da soli!”

  1. Ciao, hai scritto un articolo davvero interessante. Sono anch’io un’educatrice musicale e sono davvero molta curiosa di vedere il video, ma appena si preme l’avvio compare la scritta ‘questo video è privato’ e non lo fa partire. Potresti condividerlo pubblicamente, se possibile? Grazie mille e ancora complimenti!
    Flavia

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  2. Ciao Emanuela è molto bello ed interessante quello che fai, e sono totalmente d’accordo con te nel lasciare i bambini “liberi” di esprimersi e di relazionarsi, loro sono “maestri” di spontaneità”. Guardando il tuo video ho pensato anch’io ad una jam session di jazzisti. Il jazz è un tipo di musica spontanea ed estemporanea che si sviluppa grazie alla tacita (ma sentita e partecipata) intesa dei musicisti. Se dai un’occhiata al mio sito (è solo un prototipo per il momento) potrai vedere come anch’io sono a favore della massima libertà espressiva e comportamentale dei bambini, unica speranza di futuro per tutti noi. Complimenti per il tuo lavoro, davvero brava.
    Ciao da Gennaro
    P.S. Questo è il terzo commento che ti invio e mi devi scusare, nel primo ho sbagliato a scivere il tuo nome ed il mio link, nel secondo ho sbagliato solo il link… questo dovrebbe andare bene, spero.

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  3. E’ un articolo davvero interessante, che meriterebbe di essere ampliato in un libro.
    Anch’io, sapendo suonare il pianoforte, mi sono avvalsa della musicoterapia con alunni disabili, incapaci di seguire qualsiasi altro tipo di lezione. Nelle musica trovavano il loro modo di esprimersi ed hanno instaurato con me rapporti inizialmente inaspettati.

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