L’allattamento
Quando ho iniziato questa ricerca sull’alimentazione, non immaginavo che avrebbe arricchito la mia vita con così tante esperienze e riflessioni: professionalità, movimenti, ricerche, mi hanno permesso di spaziare dall’ambito nutrizionale a quello socio-politico, passando da dietisti a consulenti, dalla Leche Legue all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù. Ma soprattutto, mi ha messo in contatto con tanti genitori, e altrettanti bambini, che mi hanno dato la possibilità di accostarmi alle loro esperienze, allargando la mia visione, permettendomi di comprendere l’intricato e complesso sistema che lega l’alimentazione alle relazioni, alle emozioni, al linguaggio e al corpo.
Questo diario di bordo è dedicato a tutte quelle famiglie.
Cominciamo dall’inizio…
Il primo elemento in cui ci si imbatte, studiando l’alimentazione nell’infanzia, è l’allattamento.
Migliaia di articoli, scientifici e divulgativi, hanno riportato alla ribalta da un lato l’importanza del latte materno, dall’altro le difficoltà che spesso le mamme incontrano in questo momento così delicato.
Non mi dilungherò su questioni che sono alla portata di tutti, limitandomi ad aggiungere alla fine dell’articolo una bibliografia e una sitografia per chi fosse interessato a saperne di più.
Gli unici punti che voglio sottolineare sono:
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L’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) e il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) raccomandano per tutti i bambini un’alimentazione esclusiva al seno per almeno i primi sei mesi di vita.
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La comunità scientifica è concorde sull’assegnare al latte materno un ruolo decisivo per uno sviluppo sano del bambino e per importanti caratteristiche di prevenzione, sia per il bambino che per la mamma.
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La maggior parte delle donne sono perfettamente in grado di produrre latte a sufficienza per il proprio bambino. Le condizioni mediche che possono influire su una mancata secrezione delle ghiandole mammarie (ipoplasia mammaria, ritenzione placentare, Sindrome di Sheehan, ecc.) sono rare: diverse ricerche concordano per stimarle intorno al 5% dei casi.
L’esperienza quotidiana, invece mi dice tutt’altro: la quantità di donne che mi hanno raccontato di non aver potuto allattare perché non avevano latte è molto superiore al 5%… come si conciliano questi dati?
Sembrerebbe che l’opinione diffusa ruoti intorno a un’idea di latte che potrebbe esserci al 50%; nonostante le campagne di sensibilizzazione e le nuove norme portate avanti dalle istituzioni mediche e governative, nonostante la creazione di servizi, anche gratuiti, per aiutare le madri ad allattare (visibili nei siti sottostanti), nonostante la diffusione portata avanti dai movimenti politici,
la convinzione di far parte di quel gruppo di donne che non hanno latte scatta con molta facilità.
Prendersi cura di una nuova vita comporta un cambiamento totale della propria identità, con un’improvviso innalzamento del senso di responsabilità: questo può generare paura, senso di inadeguatezza, tendenza ad affidarsi a supporti esterni per proteggere il proprio bambino.
La paura è un’emozione adattativa: serve a comunicare un pericolo, a scegliere una strada alternativa. Riconoscere la paura è importante, ma lo è altrettanto scegliere una strada funzionale, basandosi sui dati di realtà. Chiedere una consulenza è facile e veloce, e, la maggior parte delle volte, risolutivo.
Come, quando…
Una delle grandi problematiche che vengono fuori quando si parla di allattamento (soprattutto, ahimè, in presenza di psicologi) è la durata. Fino a sei mesi? Proseguo fino a un anno? Quando è giusto smettere?
La mia posizione (personale e discutibile) sull’argomento è che non sia compito dello psicologo dirvi fino a che età dovete allattare il vostro pargolo.
Lo psicologo è un professionista della sfera psichica, che di solito viene interpellato nelle situazioni di disagio: indicare delle regole di comportamento non fa parte del suo ruolo, a maggior ragione in mancanza di richiesta.
Gli approcci psicologici più seri ed efficaci si basano sull’importanza della storia personale, sul vissuto in prima persona. La relazione genitore bambino va intesa nell’ottica di una risonanza di due esistenze, in cui l’ascolto reciproco è la base per la comunicazione e lo sviluppo. Inserire una regola in questo meccanismo, a parer mio, equivale a un abbandono della responsabilità genitoriale in favore di quella dello psicologo, con un annullamento dell’ascolto dei bisogni che il bambino può comunicare.
Ma c’è una cosa, invece, di cui vorrei discutere. Un elemento che, fin dall’inizio delle mie ricerche, continua a non tornarmi.
Le difficoltà alimentari, in un senso o nell’altro, sono legate a una disregolazione dei meccanismi di fame e sazietà; questi meccanismi nascono naturalmente durante i primi mesi di vita, quando la mamma e il bambino cominciano a coordinarsi sui cicli alimentari. La coppia crea uno spazio intersoggettivo che permette alla mamma di riconoscere i segnali del bambino e soddisfare i suoi bisogni, e al bambino stesso di entrare in contatto con delle sensazioni che regoleranno poi i propri meccanismi.
Sappiamo, dalla letteratura clinica, che non va sempre così: a causa di svariati fattori questa proto-comunicazione può essere danneggiata. L’importanza dell’ascolto (corporeo più che cognitivo), però, sembra comunque essere al centro della creazione di questo importante meccanismo, che poi avrà un’importanza determinante nel resto della vita.
E qui sorge il mio dubbio: ma se l’ascolto del bambino e la contingenza della risposta della madre sono così importanti, come si spiega l’introduzione di orari per le poppate, promossa dalla maggior parte dei pediatri?
Sembra che dare un orario educhi il bambino alla regolarità: ma se tutta la letteratura della Infant Research concorda sull’importanza delle mutua regolazione, qual è il senso di una regola oraria inserita senza nessun riguardo alle due parti in causa? Come si può sviluppare il senso di reciprocità quando l’elemento fondamentale è il numero di ore che sono passate dall’ultima volta che ho allattato il mio bambino?
Qualcosa è sfuggito a me, o qualcosa è sfuggito alla comunità pediatrica. Sono aperta al confronto, e cerco ancora una risposta.
Bibliografia:
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P. Negri, “Tutte le mamme hanno il latte”, Ed. Il Leone Verde.
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Lucio Piermarini, “Io mi svezzo da solo – Dialoghi sullo svezzamento”, Ed. Bonomi Editore.
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Banderali, G., Giulini Neri, I., Paramithiotti, C., “Allattamento al seno: quali evidenze scientifiche?” Ped. Prev. & Soc., 2/2010
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Arsenio, L., “Il latte e l’appetito”, 2009 ADI Magazine, Vol. XVI, n° 4
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Giovannini, M., Verduci, E., “Alimentazione del bambino e salute futura: la responsabilità del programming“, Ped. Prev. & Soc., 2/2010
Sitografia:
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http://www.melogranoroma.org/
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http://www.unicef.it/doc/150/dieci-passi-per-allattamento-al-seno.htm
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http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_31_allegato.pdf
Cosa ne pensate voi? Avete avuto difficoltà ad allattare vostro figlio? Pensate di aver ricevuto tutte le informazioni necessarie? Credete che sia importante o utile fornire delle regole al riguardo?
Scrivete la vostra opinione o la vostra storia!
Durante la gravidanza l’intestino della donna subisce profondi cambiamenti che lo portano ad essere molto simile a quello che è responsabile della sindrome metabolica. La donna gravida, soprattutto nell’ultimo trimestre, deve ricavare molta più energia dal cibo. Questa alterazione dura anche durante l’allattamento, ma non costituisce un pericolo per il neonato in quanto si trova ad avere lo stesso microbiota della mamma prima della gravidanza. Se questa somiglianza è positiva dipende da come quello della mamma. A differenza di quello dell’uomo, l’intestino della donna è soggetto ad un maggior lavoro in quanto deve ridurre ciclicamente la risposta immunitaria per evitare una attacco ad un eventuale feto. Così se la prima gravidanza arriva ad oltre 30 anni, l’intestino è sicuramente più logoro che a 20-25 anni. Nonostante l’elevato numero di fattori per cui la donna può essere sterile, un 50% delle infertilità è ad eziologia sconosciuta e può dipenderà da stati infiammatori cronici degli organi sessuali e questa infiammazione può provenire dall’intestino. Lo stress della gravidanza ne peggiora ancora lo stato, quindi come la Natura per proteggere la mamma e il neonato impone una infertilità, così se non ci sono le condizioni, può impedire l’allattamento. Oggi pratichiamo con estrema facilità la PMA, ma, spesso, senza andare a risolvere i problemi che hanno portato all’infertilità. Pertanto avremo gravidanze in condizioni meno ottimali, ma sappiamo che durante lo sviluppo pre- e post-natale si possono acquisire nuove vulnerabilità i cui sintomi si possono manifestare anche in età adulta. Quindi non solo encefaliti, epilessia alla nascita, autismo, ADHD, ma anche alzheimer, parkinson, sm, sla, etc possono svilupparsi in età avanzata in seguito a vulnerabilità acquisite durante questa delicata fase della nostra vita.
Non ci possono essere regole rigide sulla durata dell’allattamento. La Natura ci ha programmati a perdere gli enzimi che scindono il lattosio, così che arriva integro al colon ed, essendo idrofilo, richiama liquidi, quindi porta ad una leggera diarrea. Questo è lo stimolo che la Natura da al neonato affinchè si stacchi dal seno materno e vada a cercare altro cibo. Durante il complesso processo di sviluppo post-natale l’intestino impara a dare risposte corrette e a proteggere il neonato. Il distacco dalla mamma è quindi graduale, il latte sostituisce il cordone ombelicale nella duplice funzione di proteggere e nutrire. Occorre quindi rispettare questa gradualità, che è differente da neonato a neonato, ritardare lo svezzamento fa ritardare o ridurre la maturazione dell’intestino, forzarlo produce stati infiammatori ceh possono cronicizzare. Occorre quindi cercare di capire quando il bambino ha desiderio di nuovi cibi, iniziare a proporre quelli più idonei al suo intestino ancora immaturo, come la frutta, lasciando per ultima la carne rossa e i carboidrati semplici.
Grazie per il contributo, Paolo. Davvero molto interessante.